martedì 13 novembre 2012

GLI EFFETTI COLLATERALI DEI SOCIAL NETWORK


Facebook, solo “facce da libro”?

Sappiate che tutto, ma proprio tutto quello che pubblicherete, può influire sulla vostra vita reale

La saggezza popolare recita “ci vogliono anni per costruirsi una buona reputazione, pochi secondi per distruggerla”. Niente è così vero come sui social network. La mia personale esperienza con la community fondata da Mark Zuckerberg è cominciata qualche anno fa, un giorno in cui mia figlia esordì dicendo: «Mamma, tu che sei una giornalista e che lavori nel campo della comunicazione devi essere aggiornata su tutto quello che riguarda la comunicazione, i nuovi media, le tecnologie… non puoi non avere un profilo su Facebook!».
Detto fatto, presi molto seriamente l’appunto avanzato dalla figlia e mi apprestai a creare il mio profilo sul noto social network. Devo ammettere che sulle prime dovetti vincere non poche resistenze interiori: ma che senso aveva per una persona della mia età inserirsi in una comunità virtuale composta da ragazzini e studenti del liceo (al tempo non avevo la minima idea di quanto fosse variegato l’universo Facebook)?
Ora, devo chiedervi di essere indulgenti nei miei confronti. Da giornalista della carta stampata, ho sempre visto il mondo attraverso i caratteri tipografici di quotidiani, mensili, inserti, allegati, tutte cose concrete che recavano firme a volte prestigiose, spesso conosciute e note. Insomma, la credibilità della “fonte”, l’autorevolezza, “il mestiere” non erano e non sono ancora oggi solo parole, per me. Ero seriamente preoccupata di mettere alla berlina, sulla pubblica piazza oltretutto, la credibilità e la professionalità così faticosamente costruite in anni di gavetta. Anni durante i quali alle conferenze stampa non mi salutava nessuno, dovevo spiegare profusamente per quale testata lavoravo e precisare che no, non si trattava di quella on line e i fotografi mi si piazzavano davanti strattonandomi senza tanti complimenti. Ma questa è un’altra storia di cui parleremo magari in un altro articolo…













Detto fatto, dunque, eccomi on line su Facebook. La registrazione non richiese più di qualche minuto, fu la ricerca di una foto da inserire nel profilo che si rivelò una vera e propria impresa. Non avevo foto recenti, anzi per meglio dire non avevo foto che non fossero state scattate in situazioni conviviali, con le amiche, con le nipotine. Quelle con le amiche non potevano essere pubblicate senza il loro consenso e poi in nessuna di queste mi piacevo: o facevo smorfie strane, o la mise scelta per l’occasione non mi sconfinferava, oppure mi ricordavano momenti della vita non proprio felici. Delle foto con le nipotine poi neanche a parlarne, pendeva sul mio capo il veto inflessibile di mia figlia che temeva (secondo me, a ragione) che pubblicarle su una vetrina “globale” potesse essere rischioso. Si sa, gli orchi sono sempre in agguato. E quindi? D’intesa con la figlia contestatrice, quella che inorridiva per la mia assenza da Facebook, decisi di farne qualcuna “all’uopo”, insomma, una foto che sopperisse alla bisogna. No, no, niente da fare. Le foto in posa, perché nonostante tutti gli sforzi si capisce perfettamente che uno si è messo in posa, erano ancora peggio della peggio foto con le amiche. Quindi, con le poche nozioni di Photoshop acquisite da autodidatta ne ho ritoccata una ripresa in una pizzeria, con piatti e tovaglioli sullo sfondo ma dove sfoggio un sorriso davvero naturale. Soddisfatta, andai a dormire i miei sonni tranquilli.
Niente di più sbagliato. Imparai, qualche tempo dopo, quanto sia pubblica la piazza virtuale. E quanto l’azione apparentemente più innocua possa invece diventare un’arma a doppio taglio e vedremo tra poco perché.
Tuttavia, nelle prime settimane dopo la registrazione sul mio profilo Facebook regnava la calma piatta. Occasionalmente andavo a visitare la mia pagina, che quasi subito appresi chiamarsi bacheca, e ne uscivo un po’ delusa ma, anche, piuttosto perplessa circa l’utilità della mia presenza sul social network.
I primi amici mi furono inviati dalla figlia ribelle che li pregò di concedermi tale privilegio, in nome dell’amicizia che nutrivano per lei e anche perché mossi a compassione da questa immigrata digitale di seconda scelta.
Poco per volta coinvolsi anche altri amici-coetanei che, loro malgrado, si lasciarono persuadere e finirono per creare a loro volta un profilo su Facebook. Finalmente la bacheca cominciava ad animarsi, tuttavia permanevano due grosse problematiche: la mancanza quasi totale di tempo da trascorrere sul network (condizione essenziale per costituire una rete significativa di scambi e di relazioni che generi a sua volta contenuti interessanti che coinvolgano anche gli altri utenti) e la sostanziale mancanza di una motivazione. “Insomma - mi chiedevo - ma perché diavolo le persone perdono il loro tempo per scrivere a una moltitudine di sconosciuti cosa stanno facendo in quel momento, mentre altre persone perdono tempo a leggere cosa sta facendo una moltitudine di sconosciuti in quel momento?”. Sinceramente, è una risposta che non sono ancora riuscita a darmi.
Posso tuttavia affermare che un primo effetto collaterale della mia presenza sulla community virtuale arrivò quasi subito, con una bella critica sulla foto che avevo scelto per il profilo. Il critico in questione si lamentò dello sfondo, quasi che il soggetto in primo piano, cioè io, non fosse neanche da prendere in considerazione. Regola n. 1 dei social network: soppesate attentamente ogni singola azione, informazione, foto, immagine, commento prima di clikkarne la pubblicazione. Nella più completa privacy e nel silenzio del vostro salotto, o del vostro ufficio, è difficile (diciamo pure impossibile) arrivare a percepire in tutta la sua portata la “pubblicità” delle vostre azioni. Riuscite ad immaginare la vastità delle persone che “visiteranno” il vostro profilo e che vedranno, apprenderanno, conosceranno tutto quello che riguarda la vostra vita? E tra queste persone ci saranno amici veri (rari), conoscenti (molti), nemici (tanti? Pochi?) e perfetti estranei (a migliaia, come se piovesse) che, attratti da qualche particolare, decideranno di farsi un po’ di fatti vostri.
E non cadete nell’errore di credervi al sicuro grazie alle limitazioni che porrete all’accesso sul vostro profilo, alle flag che sceglierete per impedire a chi non fa parte della vostra rete di amicizie di curiosare tra le vostre informazioni. Finirete per cedere al desiderio di vedere il numero delle vostre amicizie lievitare ai tre zeri, pur di dimostrare al mondo intero la vostra popolarità concederete l’amicizia anche a chi amico non è. Qualche volta lo farete solo per il timore di non offendere qualcuno, o perché non sta bene ignorare le richieste di amicizia. Già questo fatto di per sé farà in modo che al vostro profilo possa accedere un bel numero di persone che a malapena conoscete anzi, diciamo la verità, se le incontraste per strada sicuramente non le riconoscereste né tantomeno salutereste. Ma non finisce mica qui: avete mai pensato che i vostri amici hanno, a loro volta, una schiera di amici e di amici degli amici? È qui che ci si rende conto della validità della teoria dei sei gradi di separazione, l’ipotesi secondo la quale qualsiasi persona può essere collegata a qualunque altra persona nel mondo attraverso una catena di conoscenze costituita di non più di 5 intermediari. In sintesi: il mondo è piccolo e un vostro commento potrebbe essere letto da un abitante della Nuova Zelanda in tempo reale. Il che non sarebbe poi questo gran danno se, al posto del neozelandese, il commento magari un po’ politicizzato, o scollacciato, o rivelatore di vostri gusti personali un po’ discutibili o non accettati secondo il comune senso del pudore non venisse letto dal vostro futuro datore di lavoro, o potenziale cliente, o fidanzato/marito/figlio/genitore/suocera/genero e così via lungo la scala di ogni grado e parentela.
Ma torniamo alle foto. Io mi diverto tantissimo a guardare quelle pubblicate dagli amici/amiche. Vedi casa loro, i loro cani, gatti, canarini. Vedi la vista di cui godono dal loro terrazzo, vedi gli amici invitati a cena una sera d’estate, vedi il marito/compagno in ciabatte mentre legge il giornale o fa colazione o impegnato in qualche buffa riparazione casalinga. Vedi le foto scattate in vacanza e qualche volta magari sospiri perché tu in vacanza non ci vai da un po’ di tempo e ti piacerebbe proprio trascorrere qualche giorno al mare. Spaccati di vita, per dirla con gergo tecnico. Per te, tutto finisce lì, con qualche malinconica considerazione su quanto sia più verde l’erba del vicino. Ma a quanto sembra la nostra vita pubblica ha fatto gola al business, che spia i nostri profili per trarre informazioni, proporre le sue merci, fare ricerche di mercato, carpirci i segreti per fabbricare il prodotto di successo della prossima stagione, quello che meglio incontra i nostri desiderata più nascosti e impellenti. Chissà, forse anche il nostro Super Mario sta formulando qualche pensierino sul formidabile calderone di notizie che è Facebook. Dopo Cortina e le vie della moda di Milano, saranno forse i social network i prossimi rivelatori di reddito…
E la mia reputazione? Finora non ne ha risentito tantissimo. Sono consapevole, tuttavia, di essere divenuta mio malgrado un personaggio pubblico. Come gli altri milioni di persone   connesse a Facebook. Chi avrebbe mai detto, più di vent’anni fa, che Internet, la rete globale, avrebbe avuto un successo così dirompente? Ma ve li ricordate gli esordi di Internet… io sì! (Il resto nella prossima puntata…)
The Doctor in Social Media Addiction

Nessun commento:

Posta un commento